Terminal portuale di Alyeska
Quando Mercer tornò al centro operativo, Andy Lindstrom era nel suo ufficio, con un telefono incollato all’orecchio e un altro appoggiato sulla base, sopra una pila di carte, dal quale usciva una voce che sembrava quella di uno gnomo arrabbiato. Davanti alla scrivania di Andy, c’erano, due operai con le tute sporche di petrolio. Andy vide Mercer in piedi sulla soglia e gli fece cenno di entrare. Abbaiò delle istruzioni nel telefono, riattaccò, prese l’altro e ci vomitò dentro un’altra sfilza di ordini. Lo rimise sulla base e all’istante ricominciarono a squillare tutti e due.
“Cristo, è una follia!” disse Andy, sollevando uno dei telefoni e gridandoci dentro. “Mi lasciate in pace un secondo, cazzo?” Senza attendere la risposta, appoggiò il telefono sulla scrivania ignorando gli squilli che provenivano dall’altro. Fece una pausa per accendersi una sigaretta. Il portacenere era stracolmo di mozziconi fumati solo a metà. Puntò l’estremità incandescente della sigaretta verso i due operai, come un dito indice. “Fate entrare un pig nel tubo dalla stazione di pompaggio numero dieci. I ragazzi che sono sul posto hanno detto che non ci sono danni visibili dall’esterno, né segni di manomissione, ma ho bisogno di saperlo con certezza. Se trovate delle sezioni congelate, bloccate immediatamente la pompa e avvisatemi. Cercherò di scroccare all’esercito un altro riscaldatore portatile.”
I due uomini annuirono e se ne andarono.
“Mercer, ho un problema ancora più grave di questo casino. Vai al centro comunicazioni. Ti aggiorneranno loro.”
“Andy, io vado a letto” disse Mercer secco.
“Ho bisogno di te, amico. Senza Mike Collins non ho nessuno che organizzi la sicurezza. Ho saputo che un paio d’ore fa hanno sparato a qualcuno all’ingresso principale, la polizia locale sta sbraitando per l’esplosione della nave della PEAL e le compagnie petrolifere hanno già cominciato a chiedere aggiornamenti sulle consegne. Il consiglio di amministrazione mi ha detto che i danni alla condotta devono essere riparati entro tre settimane, ma io non so ancora di che danni stiamo parlando. Come se non bastasse, da stamattina i prezzi del greggio sono aumentati di 3 dollari in tutto il mondo e non c’è da aspettarsi che calino tanto in fretta. Non mi dai una mano?”
“E va bene” sospirò Mercer rassegnato. Non fece neanche caso a Lindstrom che usciva dalla stanza, perché la sua mente annebbiata dalla stanchezza stava già pensando che forse la nuova emergenza di Andy era il secondo fronte di attacco di Kerikov.
Il centro comunicazioni era una stanzetta quasi interamente occupata da un bancone invaso da fax, telescriventi e radio marine. C’erano tre persone che si occupavano del fax, della telescrivente e delle radio, mentre una quarta era impegnata in una conversazione telefonica. Aggie Johnston era in piedi accanto al bancone, con una sigaretta sospesa tra le dita. Appena vide Mercer gli corse incontro e lo abbracciò.
“Cos’è successo?” chiese rimanendo stretta contro il suo petto.
“Abu Alam è morto, e ti risparmio i dettagli. E qui, cosa sta succedendo?”
“Una petroliera è stata sequestrata da un gruppo di terroristi, ma il capitano è riuscito a fuggire e in questo momento è al telefono. Secondo lui la nave verrà fatta naufragare da qualche parte nei pressi di Seattle.”
“Un’altra azione della PEAL?”
“Mercer, gli attivisti della PEAL erano quasi tutti sulla Hope quando è saltata per aria” disse Aggie con profonda tristezza. “Sono rimasti solo gli impiegati e i simpatizzanti che ci hanno usati per darsi un tono allineato alle nuove tendenze europee.”
“Scusami, hai ragione” rispose Mercer vergognandosi. Fino al giorno prima lei aveva creduto in loro e nelle loro battaglie, e quello stesso giorno aveva perduto molti amici, oltre al suo ex fidanzato. Date le circostanze, ci si sarebbe potuto aspettare una reazione ben più scomposta. “Dev’essere un’azione che Kerikov ha messo in piedi con un’altra organizzazione. Come si chiama il capitano?” chiese rivolgendosi alla donna che stava parlando al telefono.
“Hauser, capitano Lyle Hauser.”
“Avete verificato la telefonata? Potrebbe essere un fanatico.”
“È stato applicato il protocollo di verifica. Hauser è realmente il capitano della nave coinvolta.”
Quando Mercer le tolse di mano il ricevitore, la donna lo lasciò fare.
“Capitano Hauser, mi chiamo Philip Mercer. Sono il responsabile operativo della sicurezza qui ad Alyeska. Mi dispiace, ma devo chiederle di ripetere quello che è successo.”
“Non c’è tempo” gridò Hauser. “Quei pazzi faranno affondare la nave e causeranno una fuoriuscita di petrolio grande come il Lake Superior.”
“Dove si trova lei in questo momento?”
“Su Victoria Island, nel British Columbia, in un paesino che si chiama Port Alice. Sono stato portato qui dal peschereccio che mi ha raccolto.”
“La sua nave era diretta a Seattle?”
“No, Cristo! Quante volte devo ripetere questa storia? Dovevamo andare a Long Beach, ma il mio primo ufficiale e un gruppo di terroristi travestiti da membri dell’equipaggio hanno preso il controllo della nave. Sono riuscito a sabotare i motori e a guadagnare un paio di giorni. Il danno che ho causato li ha costretti a cambiare i loro piani, quindi invece di far naufragare l’Arctica nel porto di San Francisco, hanno optato per Seattle.”
“L’Arctica? Ma non è una delle navi della Petromax?” chiese Mercer. Sentendogli pronunciare il nome della compagnia di suo padre, Aggie lo guardò allarmata.
“Sì. Cioè, no. Insomma, lo era. È appena stata venduta, ma adesso non ha importanza” disse Hauser perentorio. “Adesso dobbiamo pensare a fermarli.”
“Ha perfettamente ragione, dobbiamo fermarli.” Il quadro si faceva via via più chiaro, e le conseguenze erano talmente allarmanti che Mercer non voleva neanche pensarci.
“Capitano, ho bisogno di fare delle telefonate, ci risentiamo tra pochissimo. Voglio che lei vada a Seattle al più presto, cominci a prenotare un aereo, ma per adesso mi dia il suo numero e rimanga vicino al telefono. La richiamo tra dieci minuti.” Mercer stava per riattaccare quando si ricordò di un dettaglio fondamentale: “Capitano” chiese “per caso la compagnia che ha comprato la sua nave è la SC&L?”
“Sì.”
“La richiamo.” Mercer chiuse la telefonata e fece il numero del cellulare di Dick Henna.
Mentre aspettava il segnale della comunicazione, Aggie gli si avvicinò con il viso segnato dalla preoccupazione. “Cosa c’entra la Petromax?”
“La nave sequestrata è una delle petroliere di tuo padre.”
“Ma le ha vendute.”
“Forse” disse Mercer, quindi si voltò bruscamente quando sentì che il direttore dell’FBI era in linea. “Dick, sono Mercer. Non perdere tempo con le stronzate, prendi una penna e scrivi. Ho bisogno di sapere se una compagnia di nome Souther Coasting and Lightering ha comunicato un piano di volo per uno dei suoi jet dall’aeroporto di Seattle Tacoma o da quello di Vancouver, nel British Columbia, con destinazione Louisiana. Nel Puget Sound c’è una petroliera che è stata sequestrata dagli uomini di Kerikov, e chiunque essi siano di sicuro avranno bisogno di scappare in fretta dopo che avranno fatto naufragare la nave. Devi far arrivare a Seattle delle truppe speciali, magari dei SEAL, e tenerli pronti a entrare in azione. Abbiamo al massimo un paio d’ore.”
Henna tentò di interromperlo ma Mercer lo bloccò prima che riuscisse a pronunciare una sola sillaba. “Dick, niente domande, fallo e basta. Immagino che avrai sentito che razza di casino è scoppiato quassù. Kerikov mi aveva avvisato che l’attacco alla condotta era solo un diversivo. Se non ci muoviamo, Seattle rischia di trasformarsi in una gigantesca discarica di rifiuti tossici a cielo aperto. Chiamami appena hai notizie su quell’aereo.” Mercer gli dettò il numero scritto su un’etichetta appiccicata al telefono e riattaccò.
“Mercer, che sta succedendo?” Aggie sprofondò in una poltrona. Lui notò che si era fatta una doccia e si era cambiata. Indossava una tuta larghissima di cotone pesante, con i polsini e le caviglie stretti da un elastico e una cintura stretta attorno alla vita sottile. Il suo corpo esile ci si perdeva.
“Kerikov è morto, ma il suo piano è ancora in piedi. Mi aveva detto che l’attentato alla condotta è solo un diversivo, e ho la sensazione che anche l’affondamento della petroliera sia un’altra delle sue astuzie per distogliere l’attenzione da qualcosa di molto più grosso.”
“Cosa, per esempio? E cosa c’entra mio padre?”
“Non so quale sia il vero fine di Kerikov, e non so in che modo tuo padre sia coinvolto, ma preparati perché sono sicuro che in qualche modo c’entra anche lui.”
“Com’è possibile? Lui col petrolio ci lavora. La distruzione di una condotta o l’affondamento di una petroliera sono le ultime cose che si augura, specialmente se la nave è la sua.”
“Forse non ci crederai, ma la nave che in questo momento è in mano ai terroristi è la stessa che ha trasportato l’azoto liquido utilizzato per congelare il greggio nel tubo della Alaska Pipeline. E ho il sospetto che il coinvolgimento di tuo padre vada anche oltre. Ricordati che la piattaforma su cui ieri sera siamo stati imprigionati è di tuo padre, e non sembrava che Kerikov se ne fosse impossessato con la forza.”
Aggie rimase in silenzio, con lo sguardo rivolto all’interno, come se si rifiutasse di vedere lo scenario che Mercer le stava descrivendo. Quel corpo già fragile nella tuta troppo grande per lei appariva ancora più vulnerabile e delicato, come la porcellana.
Lui distolse lo sguardo, lasciandola lì a pensare e a chiedersi quale potesse essere la verità. Mercer chiamò lo studio di Dave Saulman a Miami, ma gli dissero che l’avvocato era già andato via. Stava per fare il numero di casa Saulman quando il telefono trillò.
“Dimmi, Dick, cos’abbiamo?”
“La Southern Coasting and Lightering ha affittato un aereo e ieri ha trasmesso un piano di volo da Vancouver a Baton Rouge, è un Gulfstream IV. L’aereo è già là, è arrivato ieri sera da...”
“San Francisco” lo anticipò Mercer.
“Come diavolo facevi a saperlo?”
“Perché è là che Kerikov aveva intenzione di affondare la nave, solo che il capitano ha sabotato i motori e poi è riuscito a fuggire. Il sabotaggio ha obbligato i terroristi a cambiare i loro piani e a dirigersi verso il Puget Sound invece che nella Baia di San Francisco. L’aereo è rimasto in attesa in California e poi è stato trasferito a Vancouver visto che la petroliera non ce l’avrebbe mai fatta ad arrivare fino là.”
“Cosa sai della nave?”
“Non molto. Dovrai farti dare i dettagli dalla guardia costiera, ma so che è la nave che ha trasportato l’azoto liquido che avevo trovato a bordo della Jenny IV. Secondo quanto mi ha detto un amico, è appena stata venduta a una compagnia minore, la SC&L, ma prima faceva parte della flotta di Max Johnston. È piena fino all’orlo di greggio del North Slope, e se la fanno saltare nel Puget Sound, quello che è successo alla Alaska Pipeline in confronto sembrerà una stupidaggine. Sei riuscito a organizzare un gruppo di SEAL?”
“Non ho neanche cominciato. Non è mica roba che si ordina a domicilio come la pizza, cazzo.”
“Non fare il burocrate con me. Contatta l’ammiraglio Morrison e digli che ti servono quegli uomini. Se serve rivolgiti direttamente al Presidente… mi deve svariati favori.”
“Farò quello che posso” rispose Henna, rendendosi improvvisamente conto della gravità della situazione.
“Probabilmente dovremo attaccare la petroliera da Victoria. Chiarisci la faccenda con il governo del Canada. Siamo buoni vicini, ma sulla sovranità territoriale sono un po’ suscettibili.”
“Ci ho già pensato. Io e te dobbiamo restare in comunicazione, perché tu sei a contatto con quello che sta succedendo, ma per quanto tempo sarai rintracciabile a questo numero?”
“Molto poco, sto per dirigermi al Puget Sound che è a cinque ore di volo da qui. Se devo coordinare questo casino, bisogna che vada sul posto. Mi organizzo per poter comunicare e ti faccio avere mie notizie al più presto.”
“D’accordo” rispose Henna. “Pensi che sarà l’ultima volta che sentiremo parlare di Kerikov?”
“Prego Dio che sia così, ma ne dubito” Mercer interruppe la telefonata e fece il numero del capitano Hauser. “Capitano, sono Philip Mercer. Ha potuto organizzarsi per andare a Seattle?”
“Sì, ho noleggiato un idrovolante. Il pilota ha detto che riesce a farmi arrivare in un paio d’ore.”
“Bene, ma dovrà cambiare destinazione e andare a Victoria. È la città in cui i terroristi hanno tenuto pronta la barca che li farà sbarcare dalla nave.”
“È sicuro?”
“La SC&L ha un jet in stand-by a Vancouver per riportare tutto il gruppo in Louisiana. Dopo che avranno fatto affondare la petroliera, vorranno andarsene il più in fretta possibile. Ho davanti a me una carta geografica appesa al muro, e sto vedendo che la via più breve è raggiungere Victoria via mare, prendere un elicottero da Victoria a Vancouver e poi tornarsene a casa in tutta tranquillità.”
La logica di Mercer era ineccepibile. “Ok, e poi?”
“Io sto per partire da Valdez, ma lei ci arriverà un paio d’ore prima di me. Mi aspetti al terminal principale dell’aeroporto. La chiamo appena ho notizie da darle.” Mentre parlava con Hauser, Mercer disse a uno degli impiegati di andare a chiamare Andy Lindstrom. “Ho già allertato il direttore dell’FBI su quanto è accaduto fin’ora. La macchina si è messa in moto, capitano, non si preoccupi, non toccheranno la sua nave e ha la mia parola che farò tutto il possibile.”
“Signor Mercer, non è la nave che mi preoccupa, è il Puget Sound.”
Aggie afferrò il polso di Mercer mentre lui stava per fare un altro numero.
“Cosa fai? Non puoi andare a Vancouver.”
“Aggie, devo andarci” sapendo che lei non avrebbe capito.
“Non ti reggi in piedi, hai già fatto abbastanza. Lascia che se ne occupi qualcun altro.”
“Credi che non mi piacerebbe? Ma io sono questo, questo è quello che ho sempre fatto. Quando qualcuno dice ‘lascia che se ne occupi qualcun altro’, quel ‘qualcun altro’ sono io.”
“Non sei responsabile del mondo intero” brontolò lei.
“Non del mondo intero, hai ragione, ma di quella piccola parte per cui posso fare qualcosa, sì.” Quello che Mercer desiderava sopra ogni cosa in quel momento era uscire da quel casino, andarsene in un posto lontano con Aggie e dimenticarsi di tutto. Per un attimo rimpianse di non essere come quelle persone che speravano ciecamente che ci fosse qualcun altro a sistemare tutte le grane del pianeta. Parlò con un tono di voce stanco e rassegnato. “Aggie, devo andare là, occuparmi di questa storia e vedere come va a finire.”
Lei amava quello spirito di dedizione, ma capiva che per quanto quell’amore avesse potuto un giorno essere ricambiato, lui non sarebbe mai stato suo. Ci sarebbe sempre stato qualcos’altro nella sua vita, qualche sfida da raccogliere o qualche crisi da affrontare, che lo avrebbero allontanato da lei come in genere accadeva con le amanti. E sebbene lei non fosse una donna possessiva, sapeva bene che voleva di più di quello che Mercer poteva dare. E se lui fosse diventato come lei lo voleva, non sarebbe più stato l’uomo di cui lei era innamorata. Era una guerra persa in partenza in cui l’unica soluzione era quella di far finire quella storia prima che diventasse più dolorosa di quello che già era. Il solo pensiero di interrompere la loro relazione ancora prima che cominciasse le causava un senso di vuoto al petto, doloroso e incolmabile.
“Capisco” disse mentendo.
“Quando sarà tutto finito, vorrei… voglio dire che tu e io…” balbettò. “Insomma, credo che tu abbia capito. Mi farò vivo.”
“Certo” disse lei, assalita da un turbine di emozioni così intense da non riuscire a guardarlo. Ma si fece forza, e quando alzò gli occhi verso di lui per dirgli che non voleva vederlo mai più, lui se n’era andato.
Mercer trovò Andy Lindstrom che usciva dal suo ufficio e gli disse senza preamboli: “Mi serve un jet che mi porti a Victoria, nel British Columbia, il più in fretta possibile.”
“Cos’è successo?”
“Per quel che ho capito Kerikov ha pensato di distruggere la condotta e di far affondare una superpetroliera al largo di San Francisco. Il capitano della nave ha sabotato i motori in modo che non potesse arrivare fino là, e i terroristi adesso pensano di farla affondare nel Puget Sound. E questo è il secondo fronte di attacco di Kerikov. Sin dall’inizio le sue intenzioni sono state quelle di arrestare il flusso di greggio da Prudhoe Bay e renderne impossibile il trasporto lungo la West Coast. Dopo l’incidente della Exxon Valdez, l’affondamento di una petroliera nel Puget Sound arresterebbe per sempre il trasporto del petrolio verso la California. L’Agenzia per l’Ambiente e tutte le organizzazioni ambientaliste non permetterebbero mai che un simile evento possa ripetersi, e anche se tu riuscissi a rimettere in funzione la condotta, il tuo petrolio non potrebbe andare da nessuna parte. La distruzione della condotta e l’affondamento della petroliera servono a bloccare la più recente e la più grande riserva nazionale di greggio.”
Andy annuì. “Ma qual è il fine ultimo di questo piano? Voglio dire, dove vuole arrivare?”
“Voleva. Kerikov è morto, e non ho idea di quale fosse il suo scopo” ammise Mercer. “Per adesso, l’unica cosa che possiamo fare è batterlo sul tempo e arrestare le sue azioni sperando che quando ci saremo riusciti il suo disegno ci apparirà più chiaro. Hai un aereo?”
“Sì, e sei anche fortunato. È qui a Valdez, anche se di solito lo teniamo a disposizione ad Anchorage.”
“Chiama l’aeroporto e di’ loro di prepararsi a volare all’aeroporto internazionale di Victoria il più velocemente possibile. Di’ anche che carichino qualcosa da mangiare anche per me. Non so più da quanto tempo è che non mangio” e si voltò per andarsene.
“Qual è il tuo piano?”
Fermandosi sulla soglia, Mercer guardò Lindstrom e disse: “Appena ne avrò uno, sarai il primo a saperlo.”
Mezz’ora dopo, il jet privato del terminal di Alyeska, un Citation appena acquistato, decollò e si diresse a sud in direzione della regione di Seattle e Vancouver. Mentre si dirigeva all’aeroporto, Mercer riuscì a passare in albergo a prendersi dei vestiti e una borsa da viaggio, nella quale mise qualche effetto personale e la pistola di Kerikov. Dato che non sapeva per quanto tempo sarebbe rimasto in giro, disse all’albergo di conservare le sue cose e liberò la camera. Ad Alyeska qualcuno si sarebbe occupato del Blazer che aveva noleggiato.
Compresso nel sedile di pelle dell’aereo, Mercer tornò a riflettere alla domanda che gli aveva fatto Lindstrom: quale poteva essere il fine ultimo di Kerikov? Cosa poteva esserci di tanto grosso in ballo per i russi da far apparire la distruzione della Trans Alaska Pipeline e l’affondamento della petroliera dei diversivi? Kerikov puntava a qualcosa di ben preciso, qualcosa che era evidentemente legato al petrolio e che stava portando l’America a non poter più usare le sue riserve petrolifere interne.
La risposta era così ovvia che Mercer si maledisse per non averci pensato prima. Ignorando la profonda stanchezza che lo stava assalendo prese il telefono e guardò l’orologio per decidere chi avrebbe potuto chiamare. In Alaska erano le undici del mattino, quindi a Washington D.C. erano solo le quattro del pomeriggio. Decise di tentare la sorte e fece il numero di casa sua, ma dopo tre squilli stava per rinunciare.
“Pronto” rispose Harry White con una voce così roca che sembrava gli avessero passato la carta vetrata sulle corde vocali.
“Perché cazzo te ne stai a casa mia a scolarti le mie bottiglie dopo che ne hai fregate almeno due casse al Willard Hotel?”
“Tiny mi ha fatto pagare quattro dollari per un bicchiere di Ginger ale. E poi, gli stuzzichini che hai nella dispensa sono più freschi dei suoi.”
“Spero che tu abbia una bella assicurazione sulla vita con me come beneficiario, vecchio bastardo.”
“Che carino. Mi auguro la stessa cosa per te, amico” rispose Harry.
“Stai usando il telefono portatile?”
“Sì, perché?”
“Scendi nel mio studio. Ho bisogno di un favore.”
Mercer si era ricordato che Dave Saulman gli aveva detto che la Petromax aveva venduto alla SC&L altre due petroliere: una era vicino al Giappone e l’altra al largo degli Emirati Arabi Uniti.
“Sono in studio” disse Harry dopo aver sceso faticosamente la scala che portava al piano inferiore.
“Bene, accendi il computer e scorri il menu fino a che trovi l’agenda elettronica.”
Mercer attese qualche minuto, e mentre Harry bestemmiava contro la macchina in sottofondo si sentiva il rombo sommesso e monotono dei motori dell’aereo.
“Brutto figlio di puttana. Ma come cazzo si fa?” chiese Harry infastidito.
“Usa il mouse” disse Mercer.
“Non ci siamo capiti. Come cazzo si accende questo affare?”
“Ok Harry, benvenuto alla tua prima lezione di informatica. Sul retro della macchina c’è un pulsante, proprio a destra dei cavi. Trovato?” Petrolio. Petromax. Medio Oriente. “Muoviti, Harry.”
“Vaffanculo. Adesso vado a prendere la macchina da scrivere che tieni nell’armadio. Almeno con quella ci capisco qualcosa.”
“Non è la stessa cosa, Harry. Mi serve il computer.”
Mentre tornava in auto dal sito dei test, Mercer aveva sentito alla radio che a Londra c’era stato un attentato contro un diplomatico degli Emirati. C’entrava qualcosa? Probabilmente sì.
“Ok, ci sono. È acceso. Il televisore appoggiato sopra questa specie di scatola quadrata lampeggia come l’insegna di un bordello.”
“Splendido. Vedi quella specie di pacchetto di sigarette grigio appoggiato sulla scrivania? Bene. Si chiama mouse. Se lo muovi, si muove anche la freccina che vedi nella televisione.”
“Accidenti, è vero.” Harry era orgoglioso di vedere che ci stava riuscendo. “Però, non è niente male.”
“Cosa?” chiese Mercer in preda all’ansia.
“Il sottobicchiere che viene fuori da solo da sotto la TV. I tuoi bicchieri da cognac ci stanno alla perfezione.”
Mercer ci mise qualche secondo per capire. “No, Harry, quello è il supporto per i CD ROM. Non è un sottobicchiere.”
Gli Emirati Arabi Uniti: la maggior parte degli americani probabilmente non li aveva neanche mai sentiti nominare. Se qualcuno avesse preso il potere con un colpo di stato, ci avrebbero fatto caso? Fintanto che il prezzo del petrolio rimaneva stabile, la risposta era no.
Ci vollero dieci minuti di spiegazioni prima che Harry riuscisse a entrare nel programma dell’agenda elettronica. Ogni volta che il computer eseguiva i suoi comandi, esultava come un bambino.
“È fantastico! Ne voglio uno anch’io” continuava a ripetere.
“Harry, ascoltami. Ho interfacciato l’agenda con una mappa interattiva. Clicca due volte sul mappamondo e quando ti si apre la mappa clicca due volte sul Medio Oriente.”
“Fatto! Sono un mostro eh?”
“Sì, in effetti quando ti svegli alla mattina e cominci a scatarrare le sessanta sigarette del giorno prima sei proprio un mostro.”
“È sempre un piacere parlare con te, Mercer. Adesso però bisogna che vada, Tiny ha appena aperto il bar” disse per prenderlo in giro.
“Molto carino da parte tua. C’è un nome segnato lì, ma non riesco a ricordarmelo. È un geologo esperto di petrolio che lavora negli Emirati Arabi Uniti. Scorri la lista e leggimi tutti i nomi seguiti dalla sigla UAE.”
Harry cominciò a leggere i nomi, molti dei quali a Mercer non dicevano niente, altri invece erano di persone che da tempo non lavoravano più nel Golfo. Erano più di due anni che non aggiornava i suoi contatti, e quella negligenza gli stava facendo perdere un sacco di tempo.
“Fermati. Ripetimi l’ultimo che hai letto.”
“Jim Gibson.”
“È lui” disse Mercer trionfante, ricordandosi del texano rubicondo e del telescopio di ottone che portava sempre con sé. Si erano conosciuti in Nigeria qualche anno prima, quando entrambi lavoravano a un progetto per l’incremento delle esportazioni di risorse naturali. Gibson si occupava di petrolio e Mercer stava lavorando a una promettente miniera di diamanti nella regione centrale del paese. All’epoca in Nigeria non c’erano molti americani, e lui e Gibson avevano preso l’abitudine di vedersi per una bevuta tutte le volte che si trovavano entrambi a Lagos. Gibson usava il telescopio per spiare le ragazze che facevano il bagno in un fiume non lontano dal sito delle perforazioni esplorative, e si vantava che col suo telescopio avrebbe potuto spiare una bella donna anche se era sulla luna. “Harry, dammi il suo numero e grazie mille. Ti devo un drink.”
“Non c’è bisogno. Anche se ho la casa piena di Jack Daniels, ho bevuto il tuo Jim Beam.”
“Sei un amico, Harry” rispose Mercer grondando sarcasmo.
Negli Emirati era già mezzanotte, quindi dovette accontentarsi di lasciare un messaggio in segreteria al Ministero del petrolio, lasciando il numero del telefono dell’aereo, nel caso in cui Jim fosse andato in ufficio al mattino presto, ma specificando che si sarebbe comunque rimesso in contatto in mattinata.
Il volo durò poco meno di cinque ore, tre delle quali le trascorse dormendo. Usò il resto del tempo per organizzare il contrattacco alla Southern Cross, ex Petromax Arctica. Quel sonnellino lo aveva rimesso al mondo, ma era ancora lontano dalla sua abituale efficienza. Nel tempo che restava prima dell’atterraggio, aveva telefonato a Washington e a Victoria, dove il capitano Hauser stava aspettando notizie, e a Lidstrom a Valdez, che aveva saggiamente delegato a un suo collaboratore la quantificazione dei danni della condotta. Una delle telefonate, quella fatta a Dave Saulman a Miami, era durata quasi mezz’ora, ma ne era valsa la pena. Le ricerche di Saulman avevano gettato un’ombra sulle prossime ore di Mercer e sul suo piano, ma lui non aveva scelta, poteva solo andare avanti.
Per quando l’aereo di Alyeska toccò terra a Victoria Mercer aveva organizzato tutto e Hauser aveva già noleggiato un’auto che avrebbe portato entrambi al porto, dove una squadra di SEAL della base navale di Bremerton, Washington, li stava aspettando. Henna aveva detto che aveva dovuto sfruttare tutti i favori che avanzava per convincere il Presidente a mettergli a disposizione la squadra.
“Le autorità canadesi sono state informate?” chiese Mercer parlando al telefono mentre l’aereo dopo l’atterraggio si avviava verso l’hangar.
“Ringrazia che sono riuscito a fare quello che ho fatto. I politici hanno la memoria di un bambino di cinque anni e la metà della soglia dell’attenzione. Mi serve tempo per convincere la polizia canadese. I canadesi sono d’accordo in linea di principio, ma vogliono usare le loro forze speciali. Per ora hanno dato il loro accordo a che i SEAL possano condurre l’attacco, ma vogliono che i loro uomini siano presenti come forze di supporto.”
“Dick, il capitano Hauser sospetta che i terroristi stiano aspettando il cambio di marea, quindi lasceranno uscire il petrolio nello stretto di Juan de Fuca mentre il livello dell’acqua sale. Secondo un tipo con cui Hauser ha parlato qui a Victoria, la marea ci mette circa mezz’ora a cambiare. Dobbiamo intervenire appena arrivo sul molo, con o senza i canadesi. È una di quelle situazioni in cui si può solo chiedere scusa, e non aspettare il permesso.”
“Mercer, non posso permettertelo. Sono in ballo i rapporti internazionali.”
“Forse non hai capito. Non ti sto chiedendo di darmi la tua benedizione. Ti sto dicendo che sto per intervenire.” Mercer chiuse il telefono in faccia all’amico proprio nel momento in cui il pilota spegneva i motori e un operatore di terra apriva il portello esterno. Accanto a lui c’era un agente della dogana.
“Benvenuti in Canada. Bienvenue au Canada. Avete niente da dichiarare?”
“Sì, un’emergenza.” Sbuffò Mercer mentre si trascinava giù dall’aereo.
Lyle Hauser stava aspettando accanto a una Ford Taurus nel parcheggio fuori dall’edificio principale. Indossava una tuta da pescatore e stivali di gomma che si era fatto prestare. I vestiti erano puliti, ma aveva il volto sfatto e la barba incolta. “Se avessi uno specchio sono sicuro che scoprirei che il mio aspetto è orrendo almeno quanto il suo.”
“Sono messo così male?” chiese Mercer, entrando subito in sintonia con il capitano. “Siamo pronti?”
“Stavo aspettando lei. Sono stato contattato dal personale della marina, stanno aspettando in porto con una delle loro barche da assalto.”
“Ha dato loro indicazioni sui sequestratori? Quanti sono, che armi hanno eccetera?”
“Ho fatto del mio meglio. La maggior parte delle informazioni che ho sono di seconda mano, me le ha date l’ingegnere di bordo prima che fuggissi” disse Hauser, mentre si sedeva al volante e metteva in moto. “L’ufficiale in comando dei SEAL mi ha detto che in passato si sono esercitati su questo tipo di azioni e che sanno come muoversi.”
“Lo vedremo” disse Mercer, concordando con lo scarso entusiasmo che traspariva dal tono di Hauser.
L’aeroporto di Victoria distava dal porto solo una quindicina di chilometri. Si doveva percorrere tutta Blanshard Street, e durante il tragitto i due uomini rimasero amichevolmente in silenzio. Nessuno dei due sentiva la necessità di parlare delle conseguenze di un eventuale fallimento del loro attacco. Erano troppo spaventose per pensarci.
Il cielo era di un azzurro chiaro tendente al turchese, con qualche nuvola sparsa qua e là. Nonostante l’aria frizzante, il sole era abbastanza caldo e intiepidiva l’aria dando all’autunno un tocco primaverile. Se il greggio si fosse disperso nell’ambiente l’aria sarebbe diventata velenosa e irrespirabile per l’inquinamento da idrocarburi che, anche con un’esposizione di breve durata, avrebbero causato danni ai polmoni e persino tumori.
Sul molo la squadra di cinque SEAL appariva totalmente inadeguata alla situazione. Erano pronti a bordo della barca in perfetta tenuta d’assalto, con l’armatura antiproiettili nera in tinta con la barca, ma piuttosto ridicoli agli occhi degli spettatori variopinti che si stavano raggruppando sul molo e che li guardavano come se fossero allo zoo. La barca, con il bordo in gomma nera e i due motori fuoribordo, aveva un’aria malefica e, accanto alle eleganti barche da diporto che la circondavano, sembrava il brutto anatroccolo in mezzo ai cigni.
“Oh Gesù” esclamò Mercer, “il circo è arrivato in città.”
Lui e Hauser corsero sul molo per cercare di salire a bordo prima che il capitano del porto la notasse e decidesse di fare qualche verifica. “Strano che la gendarmeria locale non li abbia ancora arrestati.”
“Tenente Krutchfield?” chiamò Hauser. “Sono il capitano Hauser, e questo è il dottor Mercer.” Saltarono sulla barca, così stabile che non si mosse nonostante il loro peso. Mercer strinse velocemente la mano al tenente e gli disse di salpare immediatamente.
La faccia di Krutchfield era liscia come quella di un bambino, con gli occhi azzurri e il naso all’insù. Non aveva lo stesso sguardo truce degli altri membri della squadra, piuttosto aveva l’aria di un cucciolo ansioso e un po’ agitato.
“Dottor Mercer,” gridò Krutchfield per farsi sentire nonostante il rombo dei motori. La barca era già partita a razzo e toccava le cinquanta miglia all’ora, planando più veloce di qualsiasi altro motoscafo Mercer avesse mai visto. “Ho saputo della sua azione dell’anno scorso alle Hawaii con una delle nostre squadre, signore. Sono onorato di conoscerla.”
Mercer non fece caso al complimento, e Krutchfield continuò: “È una vera fortuna per noi che ci trovassimo nello stato di Washington quando è arrivata la chiamata.”
“Tenente, nell’azione delle Hawaii è sopravvissuto solo uno dei SEAL, preferirei rimandare il suo entusiasmo a quando sarà tutto finito” disse Mercer cupo. “A che distanza si trova la Southern Cross?”
“Il satellite ci dice che si trova a circa quaranta miglia oltre lo stretto. Impiegheremo cinquanta minuti per raggiungerla.”
“Con questa trappola della morte non ce la faremo. Ci faranno saltare per aria appena ci vedranno arrivare. Avete abiti civili o travestimenti di qualche genere?”
“No, signore. Ci è stato detto che si sarebbe trattato di un assalto classico e quindi non c’era bisogno di equipaggiamenti di quel genere.” Si capiva che non gradiva che la sua tattica venisse messa in discussione.
“Alla faccia dell’astuzia” disse Hauser.
L’intero piano di Mercer ruotava attorno all’idea di intercettare la barca che avrebbe dovuto recuperare JoAnn Riggs e la sua squadra di terroristi e di usarla per avvicinarsi alla superpetroliera. Ma accostarsi alla barca senza tirare su la testa sarebbe stato sospetto data la natura esplicita della barca d’assalto dei SEAL e visto che non avevano ancora capito quale delle centinaia di barche che incrociavano nello stretto era quella giusta. In mancanza di quell’informazione fondamentale avrebbero potuto anche andare a casa e stare a guardare alla televisione mentre si consumava il peggior disastro ambientale della storia degli Stati Uniti. “Che tipo di strumenti di comunicazione avete a disposizione a bordo?”
“Solo questo” disse il tenente mostrandogli la radio portatile che teneva in mano, con un’antenna minuscola che spuntava dall’involucro protettivo.
“E cosa cazzo è quello?”
“Devil Fish, Devil Fish, qui è Mud Skipper. Mi senti? Passo.” Krutchfield passò la radio a Mercer. “Adesso lei è in contatto con il sottomarino d’assalto più veloce degli Stati Uniti, il Tallahassee. È a circa cento metri sotto di noi e sta viaggiando a velocità costante verso la petroliera. Non c’è un sistema di comunicazioni migliore di quello di un sottomarino nucleare da guerra, dottor Mercer. Dato che l’allerta è stata data diverse ore fa, hanno tenuto d’occhio le frequenze marine nella zona inserendo tutti i contatti nel computer e creando una mappa di tutte la navi presenti nel Puget Sound. Il mio primo ufficiale mi ha detto che l’ammiraglio Morrison, capo di stato maggiore, ha ritenuto che lei avrebbe gradito l’aiuto del sottomarino. Sembra che sia un suo ammiratore.”
“Devil Fish in ascolto” rispose una voce dalla radio che Mercer teneva in mano.
Mercer non lasciò trasparire la sorpresa della presenza del sottomarino e dalla fiducia che il capo di stato maggiore riponeva in lui, e mentre parlava rimase totalmente concentrato sulla situazione che aveva davanti. “Devil Fish, stiamo cercando una barca che ha lasciato Victoria non più di un’ora fa e che si dirige verso la Southern Cross. Dovrebbe aver contattato la petroliera almeno una volta, con un messaggio breve. La parola chiave che dovrebbero aver pronunciato è Arctica. Avete niente che corrisponda a questa descrizione?”
“Rimani in attesa, Mud Skipper.” Il soldato del sottomarino si allontanò per un attimo. “Affermativo. C’è una barca a due eliche che sta viaggiando a venti nodi e che è partita da Victoria quarantasette minuti fa, e ha trasmesso alla petroliera solo il messaggio seguente: ‘Arctica, qui recupero, siamo in arrivo, ETA ore 14,20. Confermate?’ La petroliera ha risposto ‘Confermato’. Nient’altro. Il sonar mostra che l’obiettivo è lungo trentasei piedi e largo undici. Immaginiamo che si tratti di un peschereccio o di un cabinato da diporto. Passo.”
“Ricevuto, Devil Fish. Qui Mud Skipper, chiudo.” Mercer restituì la radio a Krutchfield. “Dobbiamo sbrigarci e riuscire a prendere la barca prima che possa venire avvistata dalla petroliera, altrimenti non abbiamo speranze di riuscirci.”
“Come faceva a sapere che l’avrebbero chiamata ancora Arctica? Quando me ne sono andato il suo nome era Southern Cross.” Hauser stava in piedi accanto a Mercer nell’angusta cabina della barca.
“Ho un bravo avvocato” disse Mercer senza specificare. Quindi si rivolse a Krutchfield: “Questa è la velocità massima a cui può viaggiare questa carretta?”
“No, accidenti” ghignò Krutchfield e il timoniere mise il gas al massimo, mentre il vento che soffiava sul ponte superava i cento chilometri all’ora.
Mercer si voltò di nuovo verso Hauser e gli raccontò cos’era successo alla Trans-Alaska Pipeline quello stesso giorno e di Ivan Kerikov. “Questa è la seconda parte del suo piano, far affondare una petroliera in acque statunitensi e contaminare la costa per almeno quattrocento chilometri. Max Johnston è coinvolto fin dall’inizio, da quando ha usato una delle sue navi per trasportare l’azoto liquido. Sapeva che la nave sarebbe stata distrutta, e per evitare di dover pagare i miliardi di dollari necessari per bonificare la costa, quatto quatto ha venduto tutta la flotta, compresa la Arctica, e ha fatto in modo che determinate persone, come questa JoAnn Riggs di cui mi ha parlato, rimanessero a bordo.”
“È vero, la Petromax Pacifica doveva essere ribattezzata Southern Hospitality, mentre il nuovo nome della Petromax Arabia è Southern accent” confermò Hauser.
“Lei ha fatto la parte del jolly, dato che il capitano originale della Arctica, che era certamente coinvolto, si è ferito ed è stato necessario sostituirlo. Senza offesa, hanno ingaggiato un capitano che era in pensione da un paio d’anni e che quindi non navigava da un po’. Sarebbe stato più facile attribuire a lei l’incidente una volta che lei era morto.”
“C’è qualcosa che non mi torna: se Max Johnston ha venduto le sue petroliere, perché la nave viene chiamata ancora Arctica e non Southern Cross?”
“Perché stamattina presto, secondo Dave Saulman, il mio amico avvocato, la vendita della flotta della Petromax alla SC&L è stata annullata. La proprietà delle navi è tornata a Johnston, e anche la responsabilità della fuoriuscita delle duecentomila tonnellate di petrolio che sta per riversare in mare.”
“Non capisco” disse Hauser guardando Mercer con aria interrogativa.
“In qualche modo Kerikov era il finanziatore della Southern Coasting and Lightering, e pensava di fare il doppio gioco. Aveva bisogno delle navi e della piattaforma di Max, ma non lo voleva come socio a pieno titolo. C’è in gioco qualcos’altro in cui Kerikov non voleva che Johnston fosse partecipe. Kerikov ha rapito la figlia di Johnston per assicurarsi che lui non avrebbe mai rivelato quello che sapeva di tutto il progetto. Max si sarebbe trovato impegolato con le operazioni di bonifica e non avrebbe potuto dire una sola parola sulla sua complicità” disse Mercer, e poi rimase in silenzio.
Con una mano aggrappata a uno dei montanti tubolari della cabina, Mercer sentì il bisogno di concentrarsi per prepararsi all’assalto. Se tutto andava secondo i piani, i SEAL non avrebbero avuto difficoltà a impossessarsi della barca che doveva far fuggire i terroristi e a usarla come copertura per riprendere il controllo della superpetroliera. Hauser aveva detto che i terroristi erano pochi, e i SEAL erano famosi per essere le forze speciali migliori del mondo. Come suggeriva il loro nome, erano a loro agio in mare come sulla terraferma, e secondo Krutchfield l’assalto a una nave per loro era roba di routine.
E comunque Mercer non era in condizioni di prendere parte all’azione. A dirla tutta, con quello che aveva passato c’era da meravigliarsi che fosse ancora vivo. Era distrutto. Il suo corpo era un unico enorme livido dolorante e aveva le spalle, le gambe e il petto così ammaccati che si sentiva stordito. Non gli passava neanche per l’anticamera del cervello di farsi tirare dentro a una sparatoria. Reagiva lentamente e aveva i riflessi annebbiati dalla stanchezza. Gli ci volle qualche secondo per realizzare che Krutchfield lo stava toccando sul braccio per attirare la sua attenzione.
“C’è un messaggio da Devil Fish” gridò Krutchfield nell’orecchio di Mercer. “Il loro sonar dice che siamo a circa cinque miglia dal nostro obiettivo e a sette dalla petroliera. Ha ragione, i tempi saranno strettissimi.”
“Qual è il vostro piano?”
“Fondamentalmente pensiamo di affiancarci, e quando saremo al traverso apriremo il fuoco mentre due dei miei uomini salteranno a bordo della barca.”
“E se alla prima sparatoria mancate l’obiettivo e loro riescono a mandare un avvertimento all’Arctica?”
Il volto di Krutchfield si illuminò del suo sorriso da adolescente. Si stava proprio divertendo. “Al mio ordine, il Tallahassee impedirà qualsiasi comunicazione radio nel raggio di cinquanta miglia. Tra pochi minuti inizieranno a trasmettere della musica del cazzo.”
In quel punto lo stretto di Juan de Fuca era ampio, sembrava più un grande lago che uno stretto, con i boschi e le scogliere che dominavano su entrambi i lati a perdita d’occhio, come se fossero tenuti fermi dall’acqua del canale che saliva velocemente. In un altro momento, in un’altra situazione, Mercer avrebbe apprezzato quella splendida escursione. Si aggrappò più forte e si mise a scrutare lo stretto sperando di riuscire a vedere la scia della barca dei terroristi. Usò quegli ultimi minuti prima del contatto per farsi prestare dei proiettili da 9 mm da uno dei SEAL e caricarli nel caricatore della pistola di Kerikov.
“Eccola!” gridò Hauser, i cui occhi allenati al mare riuscirono a individuare la barca molto prima degli altri uomini, tutti più giovani di lui. Era molto più motivato di loro a salvare la Petromax Arctica. Per i SEAL era solo un’altra operazione, ma per lui era una faccenda personale. Era la sua nave, e lui era il suo comandante.
Da quella distanza la barca era solo un puntino bianco sulla superficie grigiastra dell’acqua e lasciava una scia fantasma appena visibile. La petroliera non era ancora in vista, e gli uomini a bordo della barca non potevano vederli. Lo scafo nero della barca dei SEAL si perdeva tra le onde e la sagoma ribassata la rendeva praticamente invisibile da una distanza di cinquecento metri o più. Ma Krutchfield non voleva correre rischi. Appena avvistò la barca portò la radio alle labbra.
“Devil Fish, qui è Mud Skipper. È ora di accendere le luci. Ripeto, accendete le luci. Dateci sette minuti, monitorate la situazione e, se non sentite nessuna comunicazione, oscurate tutto di nuovo fino a quando non sentite che la petroliera va a pezzi. A quel punto passate al piano B.”
“E cosa prevede il piano B?”
“Che il Tallahassee emerga e colpisca la nave con un torpedo MK48 per vedere se quegli stronzi sono pronti a morire per la loro causa.”
Mercer non aveva nessuna voglia di fargli notare che colpendo la nave con un missile non avrebbero fatto altro che raggiungere lo scopo voluto dai terroristi, ma non poteva neanche stare zitto. “Non mi dica che avete anche un piano C. Non voglio saperlo” disse mentre toglieva distrattamente la sicura dalla pistola che teneva in mano.
“Tenente, ho un’idea” disse Hauser subito prima che avvistassero la barca dei terroristi. Gli ci vollero pochi secondi per spiegare cosa aveva in mente, e furono tutti d’accordo.
Raggiunsero l’imbarcazione che viaggiava a tutta velocità. Era una barca da diporto a carena piatta, con il bordo libero bianco scolorito dagli anni passati nelle acque torbide del Pacifico settentrionale e l’opera morta segnata dal clima notoriamente impietoso della regione. Aveva l’aria di non poterne più, e non destava alcuna sorpresa che i motori ormai sfiniti non riuscissero a farla andare a più di venti nodi. I terroristi non avevano avuto il tempo per organizzarsi adeguatamente dopo la partenza da San Francisco e avevano chiuso il cadavere del proprietario in un gavone, dopo avergli fracassato il cranio. Gli uomini che avevano rubato la barca, che erano arrivati a Vancouver con l’aereo privato della Southern Coasting and Lightering per dare supporto a JoAnn Riggs, volevano evitare il rischio di poter essere messi in collegamento con l’affondamento della petroliera.
La barca dei SEAL coprì la distanza che la separava dal cabinato così in fretta che gli uomini si dovettero affrettare per riuscire a mettersi in posizione. Si acquattarono dietro la falchetta, che non offriva alcuna protezione nel caso in cui i terroristi si fossero messi a sparare, ma rimanendo invisibili mentre si posizionavano nella scia dell’altra barca, virando fino a portarsi di fianco cosicché le due imbarcazioni viaggiavano parallele. Il capitano Lyle Hauser e Mercer stavano al timone, in abiti civili. Hauser diminuì la potenza portandosi alla stessa velocità dell’altra barca e avvicinandosi fino a un paio di metri con l’aria dello sbruffone che vuole far vedere il suo nuovo giocattolo.
Sul cabinato, i tre uomini ammucchiati sul ponte guardarono sorpresi la barca che si avvicinava, agile e veloce. Per dissipare i loro timori, Mercer e Hauser li salutarono con un gesto caloroso, sorridendo come se stessero facendo un innocente giretto pomeridiano. Krutchfield e i SEAL erano ancora nascosti.
“Com’è la situazione?” chiese Krutchfield restando nascosto dietro Mercer con il mitra pronto a sparare.
Mercer continuò a sorridere mentre tra i denti gli rispose: “Vedo tre uomini sul ponte. Sembrano arabi. Non vedo armi, ma indossano tutti delle giacche a vento che potrebbero nascondere qualsiasi cosa. Si direbbe che ce n’è un quarto nella cabina, sottocoperta, perché vedo del movimento attraverso uno degli oblò, ma non saprei dire se è armato.”
“SEAL, entriamo in azione tra trenta secondi” disse Krutchfield sottovoce ai suoi uomini. “Capitano Hauser, si sposti di cinque metri e al mio grido ci riporti indietro e affianchi la barca.”
Hauser eseguì immediatamente l’ordine agendo sull’acceleratore. L’imbarcazione d’assalto rispose all’istante balzando in avanti e superando il cabinato, attraversando il cuneo d’acqua che si staccava dalla sua prua. Mercer salutò di nuovo con la mano ma non ottenne risposta.
Il tempismo dei SEAL era sconvolgente. Krutchfield non aveva neanche fiatato che il timoniere delle squadra aveva spostato Hauser dalla postazione e aveva rallentato riportando lo scafo accanto alla barca dei terroristi. I tre uomini che erano a bordo si voltarono nello stesso istante mentre si accingevano a sorpassare l’imbarcazione che li aveva appena superati. Ma prima che potessero sospettare che c’era qualcosa di strano, tre SEAL erano già sbucati da dietro la falchetta e avevano aperto il fuoco, mentre Krutchfield e un altro uomo scavalcavano con un balzo lo spazio ormai molto ridotto che separava le due barche.
In pochi secondi i mitra H&K MP-5 in dotazione ai SEAL rovesciarono contro il cabinato centinaia di proiettili, facendo saltare schegge di vetroresina e di legno, facendo a pezzi i tre uomini che erano ai comandi. Dalla cabina inferiore partirono raffiche di risposta dal rumore inconfondibile di un AK-47. Il compagno di Krutchfield venne colpito mentre stava saltando a bordo e i proiettili scalfirono appena il giubbino di kevlar, ma l’urto lo fece cadere in acqua tra le due barche e il suo corpo svanì nella nuvola di fumo di cordite che si era formata. Cadde in acqua con un rumore sordo di ossa rotte e il suo grido fu coperto dal frastuono della sparatoria.
Un’altra raffica sparata dai SEAL aprì un buco nello scafo attorno all’oblò da cui erano partiti i colpi. Si sentì un grido che si sovrappose al rumore delle raffiche dell’arma automatica e all’improvviso fu tutto finito. Krutchfield si mise ai comandi del cabinato, dritto e tronfio con i piedi immersi in un lago di sangue in mezzo ai cadaveri straziati. Fermò i motori mentre il suo timoniere rallentava la barca ed entrambe le imbarcazioni rallentarono mentre l’eco della sparatoria svaniva nel silenzio.
Mercer fu il primo a salire sul cabinato, che si chiamava Happyhour, con Hauser subito dietro di lui. Krutchfield e altri due SEAL li seguirono, come le comparse in un film di pirati, con gli occhi illuminati dall’eccitazione della battaglia e le armi ancora calde. Il timoniere allontanò la barca dalla Happyhour, disegnando un arco nell’acqua per andare a recuperare il compagno caduto fuoribordo, con i potenti motori che ruggivano come belve in gabbia. Mentre Krutchfield ammucchiava i corpi da una parte, i suoi due compagni si infilarono sottocoperta ed entrarono nella cabina. Tornarono sul ponte quando Krutchfield aveva appena finito. Uno di loro, un ispanico tozzo e senza un dente, stava ripulendo la lama del coltello su un tovagliolo che aveva preso in cambusa tingendolo di rosso.
“Erano in due, jefe” disse con nonchalance, rimettendo il coltello nella guaina fissata sul giubbotto da combattimento.
“Merda” esclamo Krutchfield e si voltò a guardare al di sopra della spalla verso la scia della loro barca.
C’erano cinque terroristi a bordo del cabinato. Con un SEAL caduto in acqua e l’altro che era andato a recuperarlo aveva solo tre dei suoi uomini a bordo dell’Happyhour.
Mercer aveva già capito cosa passava per la testa del tenente e parlò prima che questi dicesse qualche cosa di avventato. “Non abbiamo tempo di aspettarli” disse, “JoAnn Riggs si aspetta che la barca raggiunga la nave tra qualche minuto e non possiamo permetterci di insospettirla arrivando in ritardo. C’erano cinque uomini a bordo della barca che doveva recuperarla, e contando Hauser e me, qui siamo in cinque.”
“Dottor Mercer, noi siamo stati addestrati per questo tipo di azioni, siamo pagati per questo. Capisco che lei e il capitano Hauser avete i vostri motivi per essere qui ora, ma non posso autorizzarvi a salire a bordo della Arctica fino a che non l’avremo messa in sicurezza.”
“Non c’è tempo per discutere, tenente. Partiamo subito. Ne parleremo mentre andiamo là, ma non possiamo in nessun caso aspettare i suoi due uomini.” Mercer sapeva che Krutchfield non aveva altra scelta se non quella di lasciarlo fare. Avevano bisogno di sfruttare il potenziale di fuoco disponibile.
“Mercer, JoAnn Riggs mi riconoscerebbe al primo istante, credo che anziché esservi di aiuto potrei rappresentare un problema” osservò Hauser.
“Lo so. Ci ho pensato. Cosa ne pensa di salire a bordo cinque minuti dopo di noi? A quel punto la zona attorno alla scala per l’abbordaggio dovrebbe essere sicura. Se la Riggs ha già cominciato a lasciar uscire il petrolio avremo bisogno di lei. Io non so niente di come funzionano le petroliere.”
“Ma lei non mi ha detto che lavora per il terminal di Alyeska?”
“No. Sono qui per fare un favore ad Andy Lindstrom, il direttore del terminal. In un certo senso sto sostituendo qualcuno.”
“Merda. Siamo nei guai” sospirò Hauser.
“Cosa succede?” Mercer stava guardando oltre la prua del cabinato. A un miglio davanti a loro apparve la VLCC Petromax Arctica che con i suoi centosessanta piedi di baglio si stagliava sullo sfondo dello stretto di Juan da Fuca come un possente muro di acciaio.
Nonostante la stazza imponente suscitasse una reverente ammirazione, Mercer non poté non pensare che l’Arctica sembrava proprio una nave fantasma.